I need someone who speaks and understands Italian to answer the questions below. You can write in English and I’ll translate later. I still need to attach the supplementary articles and relevant reading assignments…

  I need these answered TODAY!   1) Nel Decameron, Boccaccio si allontana sempre piu’ dalla poetica del Dolce Stil Novo e anche da Petrarca. Spiega il nuovo approccio di Boccaccio. [75 parole]  2) Spiegate le tematiche principali di questa nuova tendenza poetica di Boccaccio descrivendo alcune situazioni che lo scrittore presenta al lettore nella novella “Ser Cepparello da Prato”. [75 parole]  Pertinent articles are attached for reference. You may use the syllabus below, (in red text) to help guide you through these relevant articles. Feel free to pay attention only to what is applicable to the prompts from here.    ======23 APRILEStudiate le pagine 144-145; 149-154Se ancora non l’avete fatto, consegnatemi TUTTI I QUESTIONARI A CASA, perche’ non li accettero’ piu’ dopo questa data.=======16 APRILERispondete al Questionario a casa#3Ripassate le pagine 135-136 e studiate le pagine 137-142======9 APRILEStudiate le pagine 128-136======2 APRILEStudiate le pagine 112-116; 119-121; 125-127.=======26 MARZORispondete al QUESTIONARIO#2, lo trovate postato su BB.Studiate l’Umanesimo, p.100-101 (escluso paragrafo 2); il Rinascimento, p.101b (escluso paragrafo 2)Studiate Leon Battista Alberti, pp.102-111=======19 MARZOStudiate fino a pagina 99.Helpful websites:Decameron Web (English Translation by Brown University)VIDEOS from Pasolini’s “Decameron”1) Ser Cepparello:https://www.youtube.com/watch?v=Uazo6b0l0EA (3:20 – 13:50)2) Andreuccio da Perugia:https://www.youtube.com/watch?v=lc3DaBZRRtg (3:30 – 14:20)https://www.youtube.com/watch?v=g3LfzQlVgPg (0:00 – 7:20)==========12 MARZOIf you are interested in earning up to 5 points to add to your final overall grade for this course => write down the ABSTRACT (200 WORDS, in English) of your personal research project for our Symposium, on a topic we have been studying so far (Dante, Petrarca, Boccaccio)Final version of your answers to Questionario #1Studiate Boccaccio, pp.79-86====================26 FEBBRAIO – MIDTERM EXAMRipassate tutto quello che abbiamo fattoMid-Term exam – 30%: A test will be completed in class on the topics covered during the first part of the semester. Students will select three questions/essays (from the six available); each response will be written in Italian and will be at least 100 words in length.========19 FEBBRAIORispondete al Questionario 1 (open the file “Questionario”). Stampate [print] le vostre risposte e datemele all’inizio della nostra lezione.Studiate le pagine 65-76========12 FEBBRAIOLeggete e studiate le pagina 49-64Se avete bisogno di aiuto, potete visitare anche il sito internet della Princeton University:http://etcweb.princeton.edu/dante/pdp/========5 FEBBRAIOStudiate le pagine 32-48 (leggete solo i versi/verses tra parentesi) = > Only the verses between the marks.=========29 GENNAIOGuardate questo video sul cantico di frate solo di San Francesco d’Assisi.http://www.youtube.com/watch?v=uOXv0Ns1ylQStudiate le pagine 18-21 (solo le prime tre righe, only the first three lines); e 28-30=====================22 GENNAIORipassate le pagine 1-4, 7-8.Studiate le pagine 5-6 e 13-17apagina 17b, solo il paragrafo 3: “La poesia di Dante.” ( fino alla parola “onesta”)     

Save Time On Research and Writing
Hire a Pro to Write You a 100% Plagiarism-Free Paper.
Get My Paper
  • http://www.classicitaliani.it/machiav/mac15.htm
  • Machiavelli: “La mandragola” (1518)
  • CANZONE iniziale
  • da dirsi innanzi alla commedia, cantata da ninfe e pastori insieme

    Perché la vita è brieve

    Save Time On Research and Writing
    Hire a Pro to Write You a 100% Plagiarism-Free Paper.
    Get My Paper

    e molte son le pene

    che vivendo e stentando ognun sostiene;

    dietro alle nostre voglie,

    andiam passando e consumando gli anni,

    ché chi il piacer si toglie

    per viver con angosce e con affanni,

    non conosce gli inganni del mondo;

    o da quai mali e da che strani casi

    oppressi quasi – sian tutti i mortali.

    Per fuggir questa noia

    eletta solitaria vita abbiamo,

    e sempre in festa e in gioia

    giovin’ leggiadri e liete Ninfe stiamo.

    Or qui venuti siamo

    con la nostra armonia,

    sol per onorar questa

    sì lieta festa – e dolce compagnia.

    Ancor ci ha qui condutti

    il nome di colui che vi governa,

    in cui si veggon tutti

    i beni accolti in la sembianza eterna.

    Per tal grazia superna,

    per sì felice stato

    potete lieti stare,

    godere e ringraziare – chi ve lo ha dato.

  • ATTO PRIMO
  • Scena prima : Callimaco, Siro
  • […] Callimaco – Ma, parendo alla Fortuna che io avessi troppo bel tempo, fece che e’ capitò a Parigi uno
    Cammillo Calfucci. Siro Io comincio a ‘ndovinarmi del male vostro

    Callimaco – Costui, come li altri fiorentini, era spesso convitato da me; e, nel ragionare insieme, accadde un
    giorno che noi venimo in disputa dove erano più belle donne, o in Italia o in Francia. E perché io non potevo
    ragionare delle italiane, sendo sì piccolo quando mi parti’, alcuno altro fiorentino, che era presente, prese la
    parte franzese, e Cammillo la italiana; e, dopo molte ragione assegnate da ogni parte, disse Cammillo, quasi
    che irato, che, se tutte le donne italiane fussino monstri, che una sua parente era per riavere l’onore loro.

    136 b

    http://www.classicitaliani.it/machiav/mac15.htm

    Siro – Io sono or chiaro di quello che voi volete dire.

    Callimaco – E nominò madonna Lucrezia, moglie di messer Nicia Calfucci: alla quale e’ dètte tante laude e
    di bellezza e di costumi, che fece restare stupidi qualunque di noi, ed in me destò tanto desiderio di vederla,
    che io, lasciato ogni altra deliberazione, né pensando più alle guerre o alle pace d’Italia, mi messi a venire
    qui. Dove arrivato, ho trovato la fama di madonna Lucrezia essere minore assai che la verità, il che occorre
    rarissime volte, e sommi acceso in tanto desiderio d’esser seco, che io non truovo loco.

    Siro Se voi me n’avessi parlato a Parigi, io saprei che consigliarvi; ma ora non so io che mi vi dire.

    Callimaco – Io non ti ho detto questo per voler tua consigli, ma per sfogarmi in parte, e perché tu prepari
    l’animo adiutarmi, dove el bisogno lo ricerchi.

    Siro – A cotesto son io paratissimo; ma che speranza ci avete voi?

    Callimaco – Ehimè! nessuna. Siro – O perché?

    Callimaco – Dirotti. In prima mi fa guerra la natura di lei, che è onestissima ed al tutto aliena dalle cose
    d’amore l’avere el marito ricchissimo, e che ai tutto si lascia governare da lei, e, se non è giovane, non è al
    tutto vecchio, come pare; non avere parenti o vicini, con chi ella convenga ad alcuna vegghia o festa o ad
    alcuno altro piacere, di che si sogliono dilettare le giovane. Delle persone meccaniche non gliene càpita a
    casa nessuna; non ha fante né famiglio, che non triemi di lei: in modo che non c’è luogo ad alcuna
    corruzione.

    Siro – Che pensate, adunque, di poter fare?

    Callimaco – E’ non è mai alcuna cosa sì disperata, che non vi sia qualche via da poterne sperare; e benché la
    fussi debole e vana, e la voglia e ‘l desiderio, che l’uomo ha di condurre la cosa, non la fa parere così.

    Siro – Infine, e che vi fa sperare?

    Callimaco – Dua cose: l’una, la semplicità di messer Nicia, che, benché sia dottore, egli è el più semplice ed
    el più sciocco uomo di Firenze, l’altra, la voglia che lui e lei hanno d’avere figliuoli, che, sendo stata sei anni
    a marito e non avendo ancora fatti, ne hanno, sendo ricchissimi, un desiderio che muoiono. Una terza ci è,
    che la sua madre è suta buona compagna, ma la è ricca, tale che io non so come governarmene.

    Siro – Avete voi per questo tentato per ancora cosa alcuna?

    Callimaco – Sì ho, ma piccola cosa. Siro – Come?

    Callimaco – Tu conosci Ligurio, che viene continuamente a mangiar meco. Costui fu già sensale di
    matrimoni, dipoi s’è dato a mendicare cene e desinari; e perché gli è piacevole uomo, messer Nicia tiene con
    lui una stretta dimestichezza, e Ligurio l’uccella; e benché non lo meni a mangiare seco, li presta alle volte
    danari. Io me l’ho fatto amico, e gli ho comunicato el mio amore: lui m’ha promesso d’aiutarmi con le mane
    e co’ piè. Siro – Guardate e’ non v’inganni: questi pappatori non sogliono avere molta fede.

    Callimaco – Egli è el vero. Nondimeno, quando una cosa fa per uno, si ha a credere, quando tu gliene
    communichi, che ti serva con fede. Io gli ho promesso, quando e’ riesca, donarli buona somma di danari;
    quando e’ non riesca, ne spicca un desinare ed una cena, ché ad ogni modo i’ non mangerei solo.

    136 c

    Siro – Che ha egli promesso, insino a qui, di fare?

    Callimaco – Ha promesso di persuadere a messer Nicia che vada con la sua donna al bagno in questo
    maggio. Siro – Che è a voi cotesto?

    Callimaco – Che è a me! Potrebbe quel luogo farla diventare d’un’altra natura, perché in simili lati non si fa
    se non festeggiare; ed io me n’andrei là, e vi condurrei di tutte quelle ragion’ piaceri che io potessi, né
    lascerei indrieto alcuna parte di magnificenzia; fare’mi familiar suo, del marito… che so io? Di cosa nasce
    cosa, e ‘l tempo la governa. Siro – E’ non mi dispiace.

    Callimaco – Ligurio si partì questa mattina da me, e disse che sarebbe con messer Nicia sopra questa cosa, e
    me ne risponderebbe. Siro – Eccogli di qua insieme.

    Callimaco – Io mi vo’ tirare da parte, per essere a tempo a parlare con Ligurio, quando si spicca dal dottore.
    Tu, intanto, ne va’ in casa alle tue faccende; e, se io vorrò che tu faccia cosa alcuna, io tel dirò.

    Siro – Io vo. […]

  • 136 d
  • ATTO TERZO
  • Scena nona – Fra’ Timoteo solo
  • Fra’ Timoteo – Io non so chi si abbi giuntato l’uno l’altro. Questo tristo di Ligurio ne venne a me con quella
    prima novella, per tentarmi, acciò, se io li consentivo quella, m’inducessi più facilmente a questa; se io non
    gliene consentivo, non mi arebbe detta questa, per non palesare e disegni loro sanza utile, e di quella che era
    falsa non si curavano. Egli è vero che io ci sono suto giuntato; nondimeno, questo giunto è con mio utile.
    Messer Nicia e Callimaco sono ricchi, e da ciascuno, per diversi rispetti, sono per trarre assai; la cosa
    convien stia secreta, perché l’importa così a loro, a dirla, come a me. Sia come si voglia, io non me ne pento.
    È ben vero che io dubito non ci avere dificultà, perché madonna Lucrezia è savia e buona: ma io la giugnerò
    in sulla bontà. E tutte le donne hanno alla fine poco cervello; e come ne è una sappi dire dua parole, e’ se ne
    predica, perché in terra di ciechi chi vi ha un occhio è signore. Ed eccola con la madre, la quale è bene una
    bestia, e sarammi uno grande adiuto a condurla alle mia voglie.

    Scena decima – Sostrata, Lucrezia

    Sostrata – Io credo che tu creda, figliuola mia, che io stimi l’onore ed el bene tuo quanto persona del
    mondo, e che io non ti consiglierei di cosa che non stessi bene. Io ti ho detto e ridicoti, che se fra’ Timoteo ti
    dice che non ti sia carico di conscienzia, che tu lo faccia sanza pensarvi.

    Lucrezia – Io ho sempremai dubitato che la voglia, che messer Nicia ha d’avere figliuoli, non ci facci fare
    qualche errore; e per questo, sempre che lui mi ha parlato di alcuna cosa, io ne sono stata in gelosia e
    sospesa, massime poi che m’intervenne quello che vi sapete, per andare a’ Servi. Ma di tutte le cose, che si
    son tentate, questa mi pare la più strana, di avere a sottomettere el corpo mio a questo vituperio, ad esser
    cagione che uno uomo muoia per vituperarmi: perché io non crederrei, se io fussi sola rimasa nel mondo e
    da me avessi a risurgere l’umana natura, che mi fussi simile partito concesso.

    Sostrata – Io non ti so dire tante cose, figliuola mia. Tu parlerai al frate, vedrai quello che ti dirà, e farai
    quello che tu dipoi sarai consigliata da lui, da noi, da chi ti vuole bene.

    Lucrezia – Io sudo per la passione.

    Scena undecima- Fra’ Timoteo, Lucrezia, Sostrata

    Fra’ Timoteo – Voi siate le ben venute. Io so quello che voi volete intendere da me, perché messer Nicia
    m’ha parlato. Veramente, io sono stato in su’ libri più di dua ore a studiare questo caso, e, dopo molte
    essamine, io truovo di molte cose che, ed in particulare ed in generale, fanno per noi.

    Lucrezia – Parlate voi da vero o motteggiate?

    Fra’ Timoteo – Ah, madonna Lucrezia! Sono, queste, cose da motteggiare? Avetemi voi a conoscere ora?

    Lucrezia – Padre, no; ma questa mi pare la più strana cosa che mai si udissi.

    Fra’ Timoteo – Madonna, io ve lo credo, ma io non voglio che voi diciate più così. E’ sono molte cose che
    discosto paiano terribili, insopportabili, strane, che, quando tu ti appressi loro, le riescono umane,
    sopportabili, dimestiche, e però si dice che sono maggiori li spaventi che e mali: e questa è una di quelle.

    Lucrezia – Dio el voglia!

    140 b

    Fra’ Timoteo – Io voglio tornare a quello, ch’io dicevo prima. Voi avete, quanto alla conscienzia, a pigliare
    questa generalità, che, dove è un bene certo ed un male incerto, non si debbe mai lasciare quel bene per
    paura di quel male. Qui è un bene certo, che voi ingraviderete, acquisterete una anima a messer Domenedio;
    el male incerto è che colui che iacerà, dopo la pozione, con voi, si muoia; ma e’ si truova anche di quelli che
    non muoiono. Ma perché la cosa è dubia, però è bene che messer Nicia non corra quel periculo. Quanto allo
    atto, che sia peccato, questo è una favola, perché la volontà è quella che pecca, non el corpo; e la cagione
    del peccato è dispiacere al marito, e voi li compiacete; pigliarne piacere, e voi ne avete dispiacere. Oltr’a di
    questo, el fine si ha a riguardare in tutte le cose: el fine vostro si è riempiere una sedia in paradiso, e
    contentare el marito vostro. Dice la Bibia che le figliuole di Lotto, credendosi essere rimase sole nel mondo,
    usorono con el padre; e, perché la loro intenzione fu buona, non peccorono.

    Lucrezia – Che cosa mi persuadete voi?

    Sostrata – Làsciati persuadere, figliuola mia. Non vedi tu che una donna, che non ha figliuoli, non ha casa?
    Muorsi el marito, resta come una bestia, abandonata da ognuno.

    Fra’ Timoteo – Io vi giuro, madonna, per questo petto sacrato, che tanta conscienzia vi è ottemperare in
    questo caso al marito vostro, quanto vi è mangiare carne el mercoledì, che è un peccato che se ne va con
    l’acqua benedetta.

    Lucrezia – A che mi conducete voi, padre?

    Fra’ Timoteo – Conducovi a cose, che voi sempre arete cagione di pregare Dio per me; e più vi satisfarà
    questo altro anno che ora.

    Sostrata – Ella farà ciò che voi volete. Io la voglio mettere stasera al letto io. Di che hai tu paura,
    moccicona? E’ ci è cinquanta donne, in questa terra, che ne alzerebbono le mani al cielo.

    Lucrezia – Io sono contenta: ma io non credo mai essere viva domattina.

    Fra’ Timoteo – Non dubitar, figliuola mia: io pregherrò Iddio per te, io dirò l’orazione dell’Angiolo
    Raffaello, che ti accompagni. Andate, in buona ora, e preparatevi a questo misterio, ché si fa sera.

    Sostrata – Rimanete in pace, padre.

    Lucrezia – Dio m’aiuti e la Nostra Donna, che io non càpiti male.

    140 c

      http://www.classicitaliani.it/machiav/mac15.htm
      Machiavelli: “La mandragola” (1518)
      CANZONE iniziale
      ATTO PRIMO
      Scena prima : Callimaco, Siro
      136 d
      ATTO TERZO
      Scena nona – Fra’ Timoteo solo

    “IL LIBRO DEL CORTEGIANO”: L’EDUCAZIONE MUSICALE COME ELEMENTO CRUCIALE DELLA FORMAZIONE CULTURALE DI UN GENTILUOMO.

    Ne Il Libro del Cortegiano, Baldesar Castiglione si riferisce in modo specifico a quei filosofi dell’età classica che si erano posti il delicato problema concernente gli influssi che la musica esercita sulla psiche dell’uomo. Egli ne illustra in modo consistente le teorie:

    E ricordomi aver già inteso che Platone ed Aristotele vogliono che l’om bene instituito sia ancor musico, e con infinite ragioni mostrano la forza della musica in noi essere grandissima, e per molte cause, che or saria lungo a dir, doversi necessariamente imparar da puerizia; non tanto per quella superficial melodia che si sente, ma per esser sufficiente ad indur in noi un novo abito bono ed un costume tendente alla virtú, il qual fa l’animo piú capace di felicità […]

    (Libro I, XLVII)

    Partendo dal presupposto che prendendo parte alle esecuzioni musicali si possa raffinare la propria persona assimilando le qualità positive che distinguono la buona musica (armonia, bellezza, grazia, equilibrio ed eleganza), ne consegue che, diventando un musicista provetto, il gentiluomo potrà disporre di un potente mezzo per raggiungere gli stessi altissimi valori contemplati dalla società rinascimentale. Anche grazie alla musica, quindi, l’uomo di Corte potrà raggiungere l’equilibrio e l’armonia interiore, caratteristiche indispensabili per diventare un ‘‘perfetto’’ cortigiano. Ecco che «fare musica» a Corte diviene per Castiglione un’attività necessaria, se non oggettivamente mandatoria:

    [..] avete a sapere ch’io non mi contento del cortegiano e s’egli non è ancor musico e se, oltre allo intendere ed esser sicuro a libro, non sa di varii instrumenti […]

    (Libro I, XLVII)

    Castiglione è convinto che il cortigiano deve essere in grado di poter leggere uno spartito musicale per validi motivi; non solo perchè non c’è niente di meglio che cantare e suonare strumenti per allietare i momenti di “nobile” divertimento, ma soprattutto perchè “fare musica” dà la possibilità al corpo e all’animo dell’esecutore di riposare e rigenerarsi. Inoltre, in quel tempo si credeva che le esecuzioni musicali costituissero un mezzo appropriato per allietare le donne che, già in passato, si erano rivelate particolarmente affascinate da un’arte tanto graziosa e sensibile:

    [..] niuno riposo de fatiche e medicina d’animi infermi ritrovar si po piú onesta e laudevole nell’ocio, che questa; e massimamente nelle corti, dove, oltre al refrigerio de’ fastidi che ad ognuno la musica presta, molte cose si fanno per satisfar alle donne, gli animi delle quali, teneri e molli, facilmente sono dall’armonia penetrati e di dolcezza ripieni. Però non è maraviglia se nei tempi antichi e nei presenti sempre esse state sono a’ musici inclinate ed hanno avuto questo per gratissimo cibo d’animo.

    (Libro I, XLVII)

    Ne Il Libro del Cortegiano, Castiglione ribadisce un altro aspetto cruciale della tradizione nei confronti delle manifestazioni musicali intese come fenomeni sacri. Egli ricorda ai suoi interlocutori che la musica non è altro che un’eco distante emessa dal movimento eterno delle sfere celesti, la più alta delle quali è tenuta in movimento direttamente da Dio. Il cielo più alto trasmette direttamente la spinta dinamica divina ai cieli sottostanti, generando così un’armonia assolutamente perfetta; questa è in grado di risvegliare gli animi degli individui, permettendo loro di riscoprire e recuperare l’archetipiche qualità e il vigore delle più nobili virtù umane:

    […] perch’io v’entrarò in un gran pelago di laude della musica; e ricordarò quanto sempre appresso gli antichi sia stata celebrata e tenuta per cosa sacra, e sia stato opinione di sapientissimi filosofi il mondo esser composto di musica e i cieli nel moversi far armonia, e l’anima nostra pur con la medesima ragion esser formata, e però destarsi e quasi vivificar le sue virtú per la musica. Per il che se scrive Alessandro alcuna volta esser stato da quella cosí ardentemente incitato, che quasi contra sua voglia gli bisognava levarsi dai convivii e correre all’arme; poi, mutando il musico la sorte del suono, mitigarsi e tornar dall’arme ai convivii. E dirovvi il severo Socrate, già vecchissimo, aver imparato a sonare la citara.

    (Libro I, XLVII)

    […] estimo per le ragioni che voi dite e per molte altre esser la musica non solamente ornamento, ma necessaria al cortegiano.

    […] non voglio che ‘l nostro cortegiano faccia come molti, che súbito che son giunti ove che sia, e alla presenzia ancor di signori de’ quali non abbiano notizia alcuna, senza lasciarsi molto pregare si metteno a far ciò che sanno e spesso ancor quel che non sanno; di modo che par che solamente per quello effetto siano andati a farsi vedere e che quella sia la loro principal professione. Venga adunque il cortegiano a far musica come a cosa per passar tempo e quasi sforzato, e non in presenzia di gente ignobile, né di gran moltitudine; e benché sappia ed intenda ciò che fa, in questo ancor voglio che dissimuli il studio e la fatica che è necessaria in tutte le cose che si hanno a far bene, e mostri estimar poco in se stesso questa condizione, ma, col farla eccellentemente, la faccia estimar assai dagli altri.

    (Libro II, XII)

    […] fuggir quanto piú si po, e come un asperissimo e pericoloso scoglio, la affettazione; e, per dir forse una nova parola, usar in ogni cosa una certa sprezzatura, che nasconda l’arte e dimostri ciò che si fa e dice venir fatto senza fatica e quasi senza pensarvi. Da questo credo io che derivi assai la grazia; perché delle cose rare e ben fatte ognun sa la difficultà, onde in esse la facilità genera grandissima maraviglia […] (Libro I, XXVI)

    Questo ancor, – disse, – si verifica nella musica, nella quale è vicio grandissimo far due consonanzie perfette l’una dopo l’altra; tal che il medesimo sentimento dell’audito nostro l’aborrisce e spesso ama una seconda o settima, che in sé è dissonanzia aspera ed intollerabile; e ciò procede che quel continuare nelle perfette genera sazietà e dimostra una troppo affettata armonia; il che mescolando le imperfette si fugge, col far quasi un paragone, donde piú le orecchie nostre stanno suspese e piú avidamente attendono e gustano le perfette, e dilettansi talor di quella dissonanzia della seconda o settima, come di cosa sprezzata. – Eccovi adunque, – rispose il Conte, – che in questo nòce l’affettazione, come nell’altre cose.

    Bella musica, – rispose messer Federico, – parmi il cantar bene a libro sicuramente e con bella maniera; ma ancor molto piú il cantare alla viola perché tutta la dolcezza consiste quasi in un solo e con molto maggior attenzion si nota ed intende il bel modo e l’aria non essendo occupate le orecchie in piú che in una sol voce, e meglio ancor vi si discerne ogni piccolo errore; il che non accade cantando in compagnia perché l’uno aiuta l’altro.

    (Libro II, XIII)

    Nel Libro III del suo trattato, Castiglione valuta anche se sia opportuno o meno per le donne aristocratiche dedicarsi alle attività musicali:

    […] non vorrei vederla […] cantar o sonar quelle diminuzioni forti e replicate, che mostrano piú arte che dolcezza; medesimamente gli instrumenti di musica che ella usa, secondo me, debbono esser conformi a questa intenzione. Imaginatevi come disgraziata cosa saria veder una donna sonare tamburri, piffari o trombe, o altri tali instrumenti; e questo perché la loro asprezza nasconde e leva quella soave mansuetudine, che tanto adorna ogni atto che faccia la donna. Però quando ella viene a danzar o a far musica di che sorte si sia, deve indurvisi con lassarsene alquanto pregare e con una certa timidità, che mostri quella nobile vergogna che è contraria della impudenzia. (Libro III, VIII)

    PAGE

    154

    Still stressed with your coursework?
    Get quality coursework help from an expert!